Un piccolo clown si ritrova un giorno lontano dalla propria casa, e si affida così alle cure improvvisate di un contadino, poco incline alle relazioni, soprattutto a quelle con i bambini. I due devono imparare a conoscersi, e a comprendere le esigenze l’uno dell’altro. Le figure del clown e del contadino rappresentano due mondi diametralmente opposti: da un lato quello adulto, concreto, fatto di terra e di ritmi che si ripetono, e dall’altro l’universo bambino di gioco e di scoperta in cui tutto è possibile. Lo spettacolo vede in scena un padre, attore professionista, con suo figlio, un bambino di sette anni. In un lavoro senza parole, indagano sulle relazioni di scambio fra due generazioni, annullando la dimensione verticale di processo educativo, a favore di un ascolto reciproco capace di costruire una relazione profonda. La vitalità del teatro attinge qui ad una relazione pura e significativa come quella tra padre e figlio, e l’abbandono della parola permette al percorso emotivo di irrompere sulla scena, in uno spettacolo curato, delicato e ricco di vita. La sua visione rimanda alla tenerezza e il divertimento de Il Monello, le impertinenze di Pinocchio e Geppetto, le scoperte di Little Nemo, in forma di antologia e sana dedica all'immaginario collettivo.