Il pianismo di Fazil Say, un'esperienza unica d'ascolto
Nel firmamento del pianismo contemporaneo, da molti anni, la tradizione esecutiva del repertorio classico è attraversata da estri e suggestioni che un tempo sarebbero state considerate eccentriche o stravaganti; dietro scelte o scuole interpretative, fino a l'altro ieri, la bussola di ogni esecutore era chiamata a fare i conti con sensibilità moderna e filologia, costruendo rispettosamente fra i due poli l'originalità del proprio percorso. Oggi accade sempre più spesso che molte grandi star del pianismo internazionale, quelle in grado di muovere grandi numeri nei cartelloni dei concerti e nei CD store, collochino la propria fortuna artistica in una scommessa forse ancora più ardita: quella di partire dalla “lettera” degli spartiti come luogo di attraversamento aperto, sgombro dai pesi e contrappesi di tradizioni troppo ingombranti; facendoli “funzionare” all'ascolto come libere matrici per organismi sonori coerenti, talvolta spiazzanti, nell'“ora e qui” del loro affiorare sulla tastiera. Così, capita che il talento e la straordinaria tecnica di un fuoriclasse come Fazil Say, destinati a dividere ascoltatori e critica in schiere agguerrite di estimatori e scettici, rendano ogni concerto un evento letteralmente irripetibile. Al Toniolo il grande pianista turco, accanto ad un golosissimo tributo riservato a due mostri sacri della prima metà dell'800 come Beethoven e Chopin, accarezza le esili architetture sonore di Erik Satie, per poi planare mani, piedi e pedali sulle tensioni tutte contemporanee della propria Sonata Gezi Park 2 op. 52, composta sulla scia dei moti di protesta del 28 maggio 2013 in Piazza Taksim, ad Istanbul, contro le ruspe di Erdogan. L'inizio del brano è netto e potente, come un'immersione sonora diretta nel cuore della manifestazione: in una simbologia sonora molto cruda, le ribattute gravi del piano sembrano accompagnare gli avanzamenti incerti dei manifestanti, fra inserti a tempo di marcia continuamente interrotti dal contrasto repressivo delle forze dell'ordine, o diremmo qui meglio disordine, tutto sonoro.
Roberto Ranieri