#Dietrolequinte 4 - I supporti: lastre di vetro e pellicole
l lavoro d’inventario porta il catalogatore a contatto diretto con una molteplicità di oggetti differenti, ciascuno al centro di una fitta trama di rapporti. Il primo perimetro fisico dove poter rintracciare un insieme di documenti si presenta sotto le dita nella forma della “scatola”. Lì, il proprietario e gestore del fondo ha raccolto la sua produzione, e archiviato i materiali secondo criteri sempre variabili, come la coerenza tematica, la datazione, il nome del singolo committente, o altre scelte contingenti; così, ogni scatola si presenta come un piccolo scrigno che traghetta nel tempo i suoi tesori, mischiando di volta in volta le combinazioni possibili per l’approdo al presente dei suoi contenuti. Può capitare, ad esempio, che per qualche motivo la stessa scatola contenga oggetti legati a fasi differenti della storia della fotografia; e mescoli, come in questo caso, negativi in vetro al bromuro d’argento e negativi in acetato, ciascuno con le sue caratteristiche di conservazione e di trattamento. Le lastre di vetro e gli acetati, in effetti, nel Fondo Giacomelli rappresentano le occorrenze più diffuse. L’emulsione al bromuro d’argento su vetro, dagli anni ‘70 dell’800, grazie al brevetto di Richard Leach Maddox sostituì la precedente emulsione al collodio, meno sensibile alla luce e più problematica da usare, generando un enorme impulso alla produzione industriale di lastre pronte all’uso, in formati differenti e assai durevoli nel tempo. La maggior parte delle scatole di cui si compone il fondo Giacomelli riutilizza proprio i loro contenitori allora in commercio. Il passaggio ai supporti plastici di acetato di cellulosa, sempre con l’emulsione in bromuro d’argento, si colloca attorno a metà degli anni ‘30 ad opera della Eastman Kodak Company. L’acetato rappresentava un supporto di sicurezza, rispetto alla precedente lavorazione dei supporti in cellulosa che aveva prodotto le prime pellicole al nitrato, risalenti a fine 800. Il nitrato a inizio secolo affiancava commercialmente il vetro, era più pratico ma facilmente deteriorabile e soprattutto molto pericoloso, per un alto rischio di autocombustione.