La storia

L'edificazione della chiesa
Il complesso monastico benedettino dei SS. Cosma e Damiano, San Cosmo per veneziani, sorge in uno dei luoghi più suggestivi di Venezia, alla Giudecca , tra la chiesa di Santa Eufemia e la Laguna. Venne fondato nel 1481 da Marina Celsi, già badessa del monastero di San Maffio di Murano e di Santa Eufemia di Mazzorbo, e non compare nella veduta prospettica di Venezia di Jacobo De Barbari, del 1500. La chiesa ed il campanile appaiono nell'incisione di Benedetto Bordone, pubblicata a Venezia nel 1528. Il sacro edificio è ad un'unica navata conclusa da tre absidi. 

Tra il 1539 e l'anno seguente l'arcone santo fu decorato con una sfolgorante Annunciazione, mentre sui pennacchi vennero dipinti i quattro Evangelisti. 
Nel XVII secolo il pittore romano Gerolamo Pellegrini, affrescò le lunette laterali, il catino absidale, il tamburo e la cupola con soggetti biblici ed evangelici. 

Sul presbiterio si innalza la cupola a pianta ellittica, impostata su un alto tamburo decorato con cornice a stucco dove elementi vegetali si alternano a bellissime teste di giovani, opera di Girolamo Pellegrini. Appena sotto il tamburo, posti tra gli archi laterali, due oculi con cornici i pietra d'Istria. 
La facciata del sacro edificio, elegante e misurata è in sintonia con l'essenzialità della pianta. Il semplicissimo schema a capanna è un modello ricorrente, in quel tempo, per l'edificazione di molte fabbriche religiose. 

Nei secoli, il tempio fu abbellito con le opere dei più celebrati pittori operanti a Venezia e nel XVIII secolo raggiunse l'apice di un itinerario artistico esemplare. Alle sue pareti, tra le altre, vi erano tele di Jacopo Tintoretto, Jacopo Palma il giovane , Padovanino, Sebastiano ricci, Antonio Molinari, Gianbattista Pittoni, Pietro Liberi, Pietro Zanchi, Giovan Antonio Fumiani, Giovan Battista Crosato, Francesco Palazzo, Giovan Battista Tiepolo. Le vicende cittadine connesse alla caduta della Repubblica di Venezia, la successiva dominazione francese, il grave stato di necessità in cui si venne a trovare il monastero ai primi dell'Ottocento, portarono, come per molti altri edifici religiosi, alla cessione del complesso monastico al Demanio e alla dispersione di tutto il patrimonio artistico che vi era conservato. 

Nel corso del XIX secolo la chiesa fu utilizzata per usi profani (caserma, ospedale, fabbrica di sale per la pastorizia); nel 1895 fu ceduta ad una società privata che la trasformò in un "moderno" opificio per la produzione di filati e prodotti tessili. Il suo interno fu stravolto e adattato alle nuove esigenze. Furono realizzati due solai che la suddivisero in tre piani destinati alla produzione e tutti gli affreschi, esclusi quelli della cupola, furono scialbati, danneggiati, alcuni gravemente mutilati. 

In seguito alla recente acquisizione da parte dell'Amministrazione Comunale di Venezia e ai lavori intrapresi finalizzati al restauro e riuso, sono stati ritrovati, inaspettatamente, i dipinti murali di cui si dirà. 
Quando si avviarono i lavori l'aula e le cappelle absidali non erano più leggibili e il loro disegno originario radicalmente modificato dalle nuove strutture edilizie funzionali alla produzione industriale. Sotto l'emisfero della cupola era stato ricavato un piccolo ambiente adattato ad abitazione o, forse, a ufficio. Per quasi un secolo i locali così ricavati verranno utilizzati dalle "Maglierie Herion" come laboratori. A servizio della fabbrica erano stati installati impianti tecnologici: posta pneumatica, montacarichi, tubazioni per il vapore, grandi vasche in cemento, impianti elettrici di tipo industriale, imponente aspiratori. 
La pavimentazione, sostituita con una maggiormente adatta all'uso industriale, fu posata ad una quota superiore, di oltre un metro, rispetto all'originale. 

 
Oggi, dopo un intervento di restauro che ha dato frutti inaspettati e inimmaginabili, sulle superfici della cappella maggiore si è andato ricomponendo il grandioso ciclo dipinto che oggi coesiste con le installazioni degli impianti tecnologici e dalle modifiche strutturali. Negli spazi regolari compresi tra le finestre del tamburo della cupolaGerolamo Pellegrini, allievo di Pietro da Cortona, aveva rappresentato i Dottori della Chiesa, nel catino absidale la Trinità, S. Giovanni Battista, S. Pietro ed una gloria d'angeli e nelle lunette laterali le Sibille . 

Sull'arco trionfale è stato ritrovato l'affresco con l'Annunciazione, opera che si è attribuita a Francesco Salviati, realizzata, presumibilmente, tra il 1539 e il 1540. Le fonti antiche non ci tramandano alcuna memoria di questa pittura che fu realizzata in pochissimo tempo, secondo la riconosciuta abitudine alla "prestezza" e "facilità" per le quali era celebre Francesco Salviati. 

Nei pennacchi della cupola sono ricomparsi i quattro Evangelisti, tre di mano di Giuseppe Porta Salviati, allievo di Francesco e l'altro, San Giovanni, di un altro discepolo del maestro "foresto". 
Solo la cupola manteneva, seppur molto rovinati, gli affreschi raffiguranti l'Assunzione della Madonna tra un giro di Vergini e Martiri, opera anch'essa del pittore romano Gerolamo Pellegrini, realizzata nel 1672. Le figure erano state pesantemente ritoccate in modo maldestro attorno alla metà del Novecento. Gli affreschi erano compromessi anche da infiltrazioni d'acqua meteorica provenienti dal coperto. 
 

Ultimo aggiornamento: 07/07/2017 ore 11:34