La musica come un “loop”: ripetere per cambiare sempre
N.A.I.P. dialoga con Andrea Giovannetti
Quando sta sul palco, dà tutto quello che ha, “non penso più al fatto che ci sia un domani o un’altra data. Potrei fare qualsiasi cosa con l’adrenalina del palco. E’ un tentativo di liberazione, penso che se non facessi live sarei spacciato”. Fare musica, per N.A.I.P. è ragione di vita, “è la mia bussola, il mio demone. Un demone che muta, che non è passivo. Le mie scelte di vita e gli incontri che faccio sono frutto del mio percorso musicale”.
Calabrese di origine e bolognese di adozione, Michelangelo Mercuri ha scelto un nome d'arte, N.A.I.P – Nessun Artista In Particolare – che è soprattutto un manifesto d'intenti, una proposta provocatoria ma anche fortemente radicata con la narrazione del cantautorato italiano. “L'ho scelto perché mi piace sia a livello estetico, sia a livello concettuale, sia a livello essenziale. Ho iniziato da questa scelta estetica, oggi credo che questo significato sia amplificato dalla sovrapproduzione artistica che viviamo quotidianamente”.
Polistrumentista che spazia dalla chitarra alla batteria, il synth, il pianoforte e la loop station, N.A.I.P. si è fatto conoscere dal grande pubblico su “X-Factor” 2020 con l'inedito “Attenti al loop”. Con “Dovrei essere in tour” ha girato l'Italia durante l'estate, “un’operazione delicata, rischiosa, audace – l'hanno definita i critici - una grande capacità performativa al servizio di una scrittura innovativa, fortemente identitaria e scevra di etichette musicali”. Il suo stile, in fondo, è molto composito e particolare. “Da piccolo ascoltavo Kurt Cobain e volevo fare grunge. Poi da lì si è sviluppato il mio stile, anche perché ascolto di tutto... Forse è così che divento pazzo, ascoltando cose che non hanno una coerenza. Assorbiamo vibrazioni costantemente diverse e il cervello diventa liquido, come la società”.
Approdare a “X-Factor”, per lui, è stato un come entrare in “un museo all’interno del quale si deve essere ottimi ladri. Si deve prendere e imparare, e io ho imparato veramente tanto in quei due mesi. Poi bisogna portarsi queste cose con sé, come quando si sta per tanto tempo in una relazione e poi ci si lascia. Non si deve dimenticare, ma far fruttare quello che si è appreso nella vita vera, che cambia”.