Lo guida l'eco di una lingua a noi sconosciuta, di cui serba il ricordo infantile (l'arabo, volutamente non doppiato né sottotitolato) e lo scorta lo sgradevole Rospù, un mendicante brutto e bianco che sputa sulla terra che lo sta ospitando e che gli dà di che sopravvivere.
Prima ancora che un artista, Michel Ocelot è un incantatore, uno di quegli illusionisti capaci di magiche incongruità, come far uscire un animale da un oggetto vuoto o un film sul medioevo della civiltà islamica da un software 3D che più moderno non si può.
Con Azur e Asmar, spettacolo nel quale si mescolano suggestioni da "Mille e una notte", Ocelot mette in scena la vicenda di un'amicizia elettiva tra un principe azzurro e un esotico Aladino inserendola nello schema della fiaba, e con questo ci ricorda che la realtà è ben diversa. Però, come insegna l'esempio di Azur, un racconto leggendario può guidare una vita, basta crederci. Basta attraversare il mare che ci divide dall'ignoto e capire che la differenza non è un segno di sottrazione ma uno scrigno di pietre preziose.
Per illuminare i tanti sinonimi di Oriente e Occidente, il papà di "Kirikù" procede per contrari: una fiaba luccicante per raccontare la cecità del pregiudizio e l'ottusità della superstizione (occhi azzurri là, gatti neri di qua); un elenco di tutto quel che manca alla civiltà del mediterraneo per mettere in luce tutto quel che possiede. Un'operazione antiretorica degna dell'applauso.
In questo gioco di specchi e porte gemelle, a ognuno il turno di riflettersi e riflettere per capire se si è più Asmar o più Azur o più Rospù.
L'appello civile e morale non è alla tolleranza ma al riconoscere che -come in ogni fiaba che si rispetti- l'unione fa la forza. Ocelot vede nell'unione delle culture l'avvenire del mondo e lo comunica con il suo tratto ispirato tanto dai pittori fiamminghi che dalle miniature persiane e la sua tavolozza che mescola i colori di Francia con quelli della Turchia, dell'Andalusia e del Maghreb. (mymovies)