Ri-locazioni. Presentazione
Le trame volubili del paesaggio.
Il latino locare assorbe dall’uso antico due significati distinti. Da una parte l’assegnazione di un oggetto a un “luogo”, con l’alterazione della sua percezione fisica nello spazio; dall’altra, il “locare” estrae i luoghi dal paesaggio e li assimila a un contesto antropico, li imbriglia in un tessuto d’usi e convenzioni. Ecco quindi che le “ri-locazioni”, applicate alle trasformazioni del tessuto urbano, vorrebbero adagiare naturalmente ai sensi dell’osservatore entrambi i versanti, il colpo d’occhio d’insieme e gli indizi di una mutata interazione umana con quegli stessi luoghi; terreno suggestivo di raccolta, la Città storica e la Terraferma veneziana, setacciate dall’Agenzia Giacomelli per documentare, nei primi decenni del secolo scorso, alcuni assetti urbanistici destinati di lì a poco a profonde trasformazioni.
Esemplare, in tal senso, la serie dedicata alle imponenti operazioni di scavo del Rio Piccolo, oggi detto Rio Novo, col riaffiorare su lastra di interi scorci cittadini oggi non più esistenti; il voluminoso corpo fotografico dedicato al rifacimento dei ponti sul Canal Grande; lo smisurato patrimonio visivo offerto dai primi vagiti urbanistici del tessuto cittadino di Marghera; la ricognizione di interessanti dettagli viarii e abitativi del centro di Mestre.
In questo capitale di immagini, abbiamo selezionato alcuni scatti potenzialmente “dialoganti”, per visivi sfasamenti e/o raccordi, con il rifacimento in loco delle medesime inquadrature; in tal modo, l’accostamento fra 12 scatti di cent’anni fa e 12 corrispondenti odierni può valere un primo fecondo“shock” per riattraversare sottopelle la propria storia. Il “com’eravamo” tras-loca, appunto, in un perimetro di immagini che non solo cristallizza l’effetto di una distanza, ma si fa intersezione di mutazioni e resistenze; riscrive insomma pertinenze e fantasmi di quelli che la sociologia ama definire, da alcuni decenni, luoghi e nonluoghi: i primi a marcare scenari produttivi di identità e relazioni umane, sedimentati in un tratto armonicamente evolutivo del paesaggio urbano; i secondi a infiltrare altri segni spaziali, più o meno evidenti, in quell’orizzonte “sovramoderno” di usi e di transiti indifferenziati così caro a Marc Augé. Fra i due poli, ci piaceva l’idea di creare un ulteriore ponte visivo, non troppo rigidamente infografico, che suggerisse alla percezione dell’osservatore la trama delle rispettive discontinuità e persistenze: così abbiamo evidenziato in giallo le porzioni cittadine superstiti, in verde le parti scomparse, in rosso i nuovi volumi urbani.
A questo sfasamento si può affiancare un ulteriore scarto, quasi molecolare, nella stessa falda genetica dell’incontro/scontro: da una parte, il prodigio dell’emulsione al bromuro d’argento che si rianima sulle lastre di vetro e ri-produce un mondo, letteralmente ricreandolo in un suo alias fotochimico; dall’altra, i bit dei sensori digitali odierni che ricodificano da zero, nel loro ricalco asettico di algoritmi, gli infinitesimi dettagli delle nuove apparenze.
Roberto Ranieri