Spunti di filosofie non accademiche
Nei manuali scolastici si usa distinguere la storia della filosofia in “pre-socratica”, quella che getta le basi degli argomenti e del linguaggio filosofici, e la successiva. Socrate è il “filosofo” per antonomasia: colui che pose i problemi nella “giusta” prospettiva e che visse in modo esemplare, e in modo conseguente morì nel 399 a.C.
Platone, allievo di Socrate, fondò l’Accademia nel 387 a.C.
Per “filosofia accademica” si intende da questo momento in poi la filosofia che si studia nelle sedi ufficiali: Accademie, Scuole, Università, Licei, e che implica l’insegnamento del sapere tradizionale e delle teorie dei “filosofi” di professione. Esiste, tuttavia, una storia del pensiero filosofico e scientifico “non accademico”, a volte studiato e riconosciuto ufficialmente, spesso escluso dal dibattito pubblico, condannato e costretto a percorrere strade traverse e nascoste per essere diffuso. Di quest’ultimo si occuperanno quest’anno le ormai “tradizionali” conferenze filosofiche.
Degli scritti di Democrito, Platone disse che dovevano essere bruciati. I “Presocratici”, in generale, sono filosofi naturalisti, “fisiologi”: studiano la natura cercando in essa, e nelle sue sempre mutevoli forme fenomeniche, qualcosa di permanente; per Democrito è l’atomo. La concezione della natura fondata sugli atomi è materialistica e meccanicistica, dominata insieme dal caso e dalla necessità: di qui la condanna di Platone, il quale sosteneva che il mondo è stato costruito a imitazione di un modello perfetto.
Alla fisica atomistica di Democrito si riallaccia Epicuro per proporre un’etica austera, fondata sul calcolo meticoloso dei piaceri necessari e utili, in vista di una felicità integralmente terrena.
Attraverso la contaminazione con il mondo filosofico e religioso greco-romano si sviluppano dal I al III secolo alcune correnti minoritarie del cristianesimo. Queste ultime vengono raggruppate sotto la definizione di gnosticismo, un complesso di molteplici correnti spirituali e dottrinarie, variegate e composite, prive di una direzione comune, che diedero vita a un un fenomeno religioso osteggiato come eretico da parte di numerosi Padri della Chiesa.
Con il Cristianesimo la filosofia diverrà un supporto al servizio della fede e passeranno secoli prima che essa possa di nuovo far trionfare la “Ragione” e il “Metodo razionale” sui dogmi.
Durante tutto il Medioevo la sensibilità della teologia e della filosofia ad essa asservita nei confronti delle eresie fu particolarmente intensa, soprattutto perché queste si nascondevano sotto il sotterfugio della “doppia verità”, una di ragione e una di fede. Alla potenza degli argomenti della ragione di un Abelardo si opponeva il potere dell’autorità, con l’incriminazione e la condanna al rogo dei testi non conformi alla dottrina ufficiale delle “Scuole”. Il monopolio o quasi del sapere apparteneva a questa forma medioevale e chiesastica dell’“Accademia”; era privilegio dei “chierici”.
Anche la “modernità” si trovò a fronteggiare i suoi eretici: Galileo, benché docente universitario, e il prete Gassendi sospettato di essere un libertino; entrambi furono attirati dalla teoria dei “corpuscoli” – come venne allora chiamata l’antica teoria atomistica di Democrito, che riproponeva una concezione dell’universo senza il concorso di Dio. Il materialismo cominciava a non poter più essere esorcizzato. Materialistico e “sensistico” fu l’Illuminismo, del quale il Foscolo fu seguace: il mondo non è che materia, soggetta ad un processo incostante di trasformazione, governata da leggi meccaniche. Stesso destino toccò alla storia quando Marx rovesciò il paradigma hegeliano. Essa non fu più considerata il terreno su cui lo “Spirito” manifesta la sua maestosa efficacia, ma, molto prosaicamente, il luogo della vita e della sua riproduzione.
Non soltanto i “materialisti” più noti (Democrito, Epicuro, Spinoza, Gassendi, Illuministi, Marx, Nietzsche…) fanno parte di una storia alternativa a quella ufficiale e accademica, ma anche pensatori religiosi dello spessore di Teilhard de Chardin, che cercò di conciliare la teoria evoluzionista e la dottrina del peccato originale. Per questo i superiori del suo ordine Gesuita, con un provvedimento disciplinare, lo costrinsero a dimettersi dall'insegnamento di materie filosofico-teologiche, invitandolo a non pubblicare più nulla su questi temi.
L’ultima lezione riguarda la “disobbedienza civile”: “Tutti gli uomini riconoscono il diritto alla rivoluzione, cioè il diritto di rifiutare l'obbedienza, e di opporre resistenza, a un governo, nel caso cui la tirannia o la inefficienza siano gravi e intollerabili”: così Thoreau, il predicatore romantico della disobbedienza.
Maria Giacometti